Oggi ho imparato una parola nuova

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ggi ho imparato una parola nuova: girovagando nella bacheca di un social, tra una foto di un piatto di pasta e qualche immagine di dubbio gusto e dall’effetto comico discutibile ogni tanto spunta qualcosa di interessante, e proprio oggi mi sono imbattuto in un breve trafiletto che illustrava cosa fosse l’eco-corona.

No, non riguarda storie di case reali o di virus, bensì di micro ecosistemi che colonizzano le particelle di microplastiche che in qualche maniera raggiungono i bacini idrici. Le microplastiche sarebbero piccolissimi frammenti di plastica formatisi in seguito alla frantumazione di pezzi più grandi precedentemente esposti alle intemperie.

Forse parlare di ecosistemi potrebbe essere un po’ esagerato, diciamo che si tratta di piccoli insediamenti di microrganismi, perlopiù alghe e batteri, che, per un qualche tipo di affinità chimica, si stabiliscono sulla superficie della plastica.

Per quanto possa sembrare tenero, la situazione è tutt’altro che felice; soprattutto per gli organismi che di quelle alghe si nutrono e che finiscono quindi per ingerire, a loro insaputa, delle particelle di plastica particolarmente appetitose e che mai si sognerebbero di mangiare. 

Un po’ come fa il pesce che abbocca all’amo ricoperto dall’esca.

Questo processo è una tra le principali cause di contaminazione da polimeri degli organismi acquatici. Tutto ciò non vuole creare allarmismi, bensì far nascere una consapevolezza di ciò che l’uomo sta provocando alla natura e, di conseguenza, anche a sé stesso.

Questo vorrebbe essere uno stimolo a fare scelte responsabili e consapevoli, a pensare alle conseguenze di ciascuna azione, specialmente nel riguardo dei rifiuti.

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