Un racconto di Transumanza trasmesso da Rita Nardecchia
Il Cammino della Transumanza Laziale (CTL) ci arricchisce... ogni giorno!
Nel mese di Marzo io e la mia collega Elia abbiamo avuto il piacere di ascoltare un racconto di Transumanza condiviso con noi dalla signora Rita, discendente da allevatori originari di Filettino.
Il progetto SCU a cui ci stiamo dedicando è nato nel 2021 sotto il nome di “A piedi e in bici sulle vie della Transumanza”, poi è stato denominato nel 2022 “Le vie della Transumanza del Lazio” e, oggi, “Cammini&Transumanza: camminare per conoscere”. Tale progetto si è arricchito, in special modo nei primi due anni, proprio di testimonianze sul tema dell’antica pratica della Transumanza, grazie alle quali si è via via costruito e sviluppato.
L’ascolto di questi racconti, unito agli studi compiuti dalla Società Geografica Italiana e al prezioso lavoro degli operatori volontari di SCU del Parco dei Castelli Romani, ha permesso di valorizzare la Transumanza, dal 2019 inserita nel Patrimonio Immateriale dall’UNESCO, con la creazione di un Cammino suddiviso in tappe che toccasse diversi punti che, nella Regione Lazio, avevano vissuto esperienze di Transumanza.
In 2 anni i ragazzi di SCU del Parco dei Castelli Romani, Matteo, Giusi e Vittorio, hanno ideato, dai racconti e dai dati raccolti, e tracciato, un percorso chiuso ad anello, che, senza pretesa di completezza, e senza voler realizzare una fedele ricostruzione storica, toccasse alcuni luoghi di Transumanza del Lazio.
Il Cammino non è stato pensato per ricostruire fedelmente e metro per metro dove materialmente passavano i pastori con il bestiame sui tratturi, tratturelli, mulattiere, ma l’idea è quella di permettere al CTL di poter esser raggiunto da altri percorsi che riportino a loro volta alla luce tratti in cui i pastori si spostavano col bestiame.
È, per questa ragione, che viene da noi definito “tracciato multitasking”, aperto, cioè, ad accogliere nuove vie, nuove varianti, a ingrandirsi, ad aumentare i suoi chilometri, il tutto con la collaborazione di chi propone o mostra l’interesse di collegarsi al CTL.
La signora Rita, oltre a fornirci uno spunto per la creazione di una eventuale futura variante che arrivi sino al Comune di Filettino, sito nel Parco dei Monti Simbruini, ci ha regalato un racconto tutto a tema Transumanza.
Questo breve articolo ha l’intento di ripercorrere quanto ci è stato trasmesso da Rita, per ricondividerlo con voi lettori.
La Transumanza ha a che fare con: temperatura, clima, stagioni, corsi d’acqua, benessere del bestiame…
I protagonisti sono i pastori, la loro vita fatta di sacrifici e rinunce, vissuta in funzione dei pascoli e per mesi lontana da casa, ma caratterizzata anche da una certa stabilità economica, per la quale valeva la pena anche correre il rischio di contrarre la malaria.
Da leitmotiv c’è l’equilibrio totale tra animale, uomo e natura, che implica rispetto per l’ambiente e sostenibilità.
Rita, con la sua “lezione” di Transumanza, è partita da molto lontano, con cenni sugli Equi, i Volsci, e i Romani e la loro conduzione del bestiame verso corsi d’acqua quali il Tevere e l’Aniene.
I Romani istituirono il prelievo fiscale sulla Transumanza e ancora oggi la “fida bestiame” è la tassa che grava in capo al pastore per poter effettuare il pascolo.
Nel Medioevo e nel Rinascimento nacquero le prime banche, e tra esse il Monte dei Paschi di Siena, dove il termine “Paschi” suole indicare proprio il pascolo, rivolto alla riscossione delle tasse fissate per i pascoli.
Tali pascoli erano svolti su terre dei Comuni e su terreni private, nel periodo successivo alla raccolta, sulla base degli usi civici per il diritto di pascolo.
In questo quadro delineato il rapporto era strettamente tra uomo/animale e la tecnologia non si sapeva neppure cosa fosse.
Dopo un breve viaggio indietro nel tempo, Rita si è soffermata sull’esperienza di transumanza vissuta, in primis, dalla sua famiglia e incentrata nel luogo di cui è originaria: Filettino.
Il Comune di Filettino si trova vicino al confine con l’Abruzzo e fa parte del Parco dei Monti Simbruini.
Si trova a 1063 metri s.l.m., la sua estensione è di 78 km quadrati e il punto più basso è posto a 800 metri s.l.m..
Un tempo Filettino segnava il confine di Stato tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli (o delle 2 Sicilie). Tale Comune è arrivato, in passato, a far registrare fino a 40.000 capi di bestiame, che erano moltissimi se paragonati ai circa 150.000 che pascolavano tra i Simbruini e gli Enrici.
Filettino era popolato in special modo nei mesi da Giugno a Settembre, mesi ideali per i pascoli in quota. Le bestie potevano trovare qui un clima e un pascolo ideale, prati verdi, temperature fresche. L’arrivo dei pastori in paese era un evento molto atteso e motivo di gioia, ma anche caratterizzato da alcune precauzioni da prendere per ragioni di igiene. Infatti, prima di far entrare i pastori a Filettino, questi venivano condotti in un edificio sito poco prima del paese, che si può osservare ancora oggi, dove venivano sottoposti a sanificazione attraverso i suffumigi.
A Settembre i pastori radunavano gli ovini e i caprini, i capi di più piccole dimensioni, e partivano per evitare ai suddetti capi di bestiame di patire il freddo e la neve che, copiosamente, scendeva e imbiancava le zone dei Monti Simbruini da Ottobre ad Aprile/Maggio. La neve ricopriva l’erba e diventava molto complesso per ovini e caprini procurarsi il cibo.
A Novembre arrivava il momento di spostarsi anche per i bovini, animali più robusti e, quindi, con una maggiore resistenza al clima freddo, e che, fino a quel momento, si erano nutriti con le fronde poste più in alto.
Ma dove erano diretti gli ovini, i caprini e i bovini?
Basti pensare a cosa avevano bisogno per rispondere a tale interrogativo.
Le bestie necessitavano di pascoli verdi e clima mite, perciò si spostavano verso l’agro romano, prima, paludoso sino all’800, e verso la pianura pontina, poi, bonificata solo nel periodo mussoliniano, grazie alla bonifica con l’uso di pompe.
Rita ha definito le bonifiche come il colpo di grazia per la Transumanza.
Nei suddetti territori costieri i pastori erano soliti stringere accordi con i latifondisti costieri o con i Comuni per affittare terreni dove far pascolare gli animali. Venivano stipulati, anche, i contratti di soccida tra allevatore e proprietario terriero. Il primo aveva lo scopo di assicurarsi i terreni per il pascolo, il secondo di beneficiare di una manutenzione della proprietà (recinti, eventuali coltivazioni…) e per ricevere indietro, una volta terminato il periodo di pascolo, un terreno concimato naturalmente dal letame.
Dunque, la forza lavoro a Settembre si trasferiva verso l’agro romano e pontino, mentre gli anziani, le mamme e i bambini rimanevano per lo più a Filettino.
La vita familiare era totalmente in funzione dei pascoli.
I pastori, lontani da casa, vivevano mesi difficili all’interno delle lestre, capanne che si costruivano da soli, con l’utilizzo di strame, ma il bestiame garantiva loro la sopravvivenza, l’economia e la ricchezza. Infatti, a Filettino gli allevatori più ricchi arrivavano a possedere sino a 2000/3000 pecore ciascuno e venivano considerati persone influenti.
I pastori pagavano la fida bestiame al Comune e si garantivano la possibilità di portare il bestiame al pascolo in montagna nei mesi da Giugno a Settembre.
Sui territori di pascolo di Campo Staffi e di Campo Ceraso era apposta una riserva da parte del Comune e la loro concessione era soggetta ad un’asta i cui vincitori potevano godere dell’uso di quei terreni. I pascoli da lì raggiungevano, per abbeverarsi, i due volubri vicini, da intendersi come laghetti che si riempivano di acqua piovana, o le sorgenti dell’Aniene.
Come funzionava il pascolo?
Nell’ambito dei pascoli vigeva un preciso regolamento con annesse pesanti sanzioni, laddove violato. Tale normativa sta a sottolineare l’importanza del pascolo e del rispetto del territorio e delle sue ricchezze, tra cui il bestiame.
Per quanto concerne il fattore temporale, era stabilito un termine dal quale poter iniziare a far pascolare gli animali, connesso con i metri di altitudine dei terreni di pascolo. Ad esempio, verso la metà di Giugno si potevano condurre gli animali a nutrirsi tra gli 800 e i 1000 metri circa. Verso la fine di Giugno e l’inizio di Luglio, invece, i pascoli potevano essere portati sino alla quota di 1400 metri. Orientativamente dalla metà di Luglio, infine, potevano essere raggiunti i territori in quota.
I termini temporali venivano stabiliti al fine di garantire la crescita idonea dei prati e la quantità sufficiente al fabbisogno alimentare di tutte le bestie.
L’espressione che veniva adoperata per indicare che l’allevatore non era più soggetto al rispetto di tempistiche e quote, e, quindi, non era più passibile di sanzioni, era “si rompono le montagne”, da intendere come “tutta la montagna si può pascolare”.
Un’altra regolamentazione riguardava il taglio boschivo, con l’intento di preservare le matricine a garanzia della nascita di nuovi esemplari di alberi. Nel Comune di Filettino andavano all’asta circa 40 lotti, uno per ogni anno, e il Comune ne incassava l’introito.
Dato che le bestie, se fosse stato consentito loro di pascolare nelle zone di taglio, avrebbero mangiato i polloni destinati a diventare, con gli anni, nuovi esemplari per rinfoltire il bosco dopo il taglio, ne era vietato loro e sanzionato l’accesso. Così facendo veniva rispettato l’equilibrio ambientale e lasciato al bosco il tempo necessario per ricrescere dopo l’intervento di taglio.
Da Filettino, ci ha spiegato Rita, erano principalmente due le strade percorse dagli allevatori. La prima da Filettino si muoveva verso Trevi, gli Altipiani di Arcinazzo, il Piglio, poi verso Valmontone, Artena, Cori, Giulianello, Cisterna, Anzio, Velletri, con mete finali Anzio/Nettuno o Terracina.
L’altra direttiva per arrivare a Terracina era, da Filettino, dirigersi verso Pratiglio Sant’Onofrio, e scendere per Guarcino, Alatri, Madonna della Neve, Valle Amaseno e Priverno.
Con l’avvicinarsi dell’estate, dato che il clima diventava caldo, il pascolo secco e si sviluppavano facilmente parassiti, gli allevatori si preparavano al ritorno verso Filettino.
Nel tempo, con i vari cambiamenti tra cui l’avvento della tecnologia e le bonifiche delle zone paludose, si è perso tanto di questa pratica, dell’equilibrio ambientale e del sapere dei pastori.
Sentire la voce di Rita e i suoi racconti di Transumanza ci ha arricchito e, per questo, vogliamo ringraziarla per averli condivisi con noi.
Benedetta Mancini
Elia Garofoli
Operatrici volontarie Parco dei Castelli Romani
Alessandro Alibrandi
Brava Rita,, tutto vero, sono cresciuto con questi racconti, mia mamma è nata a Filettino il 16 luglio 1936 perché mia nonna era lì al seguito delle greggi in transumanza da Sabaudia.