Per un essere umano è impossibile immedesimarsi nelle sensazioni dei cavalli: nella visione binoculare, nel tatto sensibilissimo, nell’olfatto, nel gusto, nell’udito, nella capacità di percepire attraverso gli zoccoli le onde vibratorie che si propagano nel terreno e che preannunciano l’arrivo di un potenziale nemico. Ma il contatto graduale e continuativo tra umani e animali (cavalli nel caso specifico) può ridimensionare il ruolo e l’importanza che l’uomo dà a se stesso, anche e soprattutto nelle relazioni che instaura con il prossimo, che sia animale-umano, animale-non umano e, perché no, anche vegetale. Siamo abituati a immaginare cavalli ferrati, con un morso di metallo in bocca, con finimenti e bardature, con la criniera intrecciata. Il modello archetipico del cavallerizzo ha gli speroni ai piedi. E se ci fosse un modo diverso? Se queste imposizioni esistessero più per una necessità di controllo sulle paure umane che di “educazione” del cavallo?
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