Sensi umani, sensi d’animale
Il corpo è il primo filtro attraverso il quale ogni essere vivente conosce e sperimenta il mondo. Se per gli “animali-umani” e gli “animali-non umani” i sensi si limitano notoriamente a cinque, non significa che questi si possano paragonare tra loro. Ogni corpo si è evoluto rispecchiando le caratteristiche dell’ambiente circostante, al punto che le categorie di “territorio” e suo “abitante” difficilmente possano scindersi. Vista, udito, tatto, gusto e olfatto incidono sul modo di concepire un ambiente e sui modi di comunicare tra esseri della stessa specie. Per gli esseri umani la vista è diventata nei secoli il senso privilegiato, ma non è così per tutti gli altri animali.
Si prendano da esempio i cavalli, protagonisti indiscussi del Buttero Contemporaneo (struttura amica del Cammino della Transumanza). Gli equini hanno una visione monoculare, che permette un ampio raggio prospettico (340° circa), ma che lascia due punti ciechi: la zona immediatamente di fronte al cavallo e quella subito dietro il suo corpo. L’olfatto è molto più sensibile di quello umano e lo stesso vale per l’udito, potenziato anche dalla capacità di ruotare le orecchie di 180°. Ma è grazie al tatto che avviene la prima comunicazione tra cavalli, al punto da renderlo il senso della socialità per eccellenza. Il cavallo è un animale fortemente gregario, ha bisogno di intessere delle relazioni con gli altri membri della mandria. Uno dei modi per consolidare questi legami è proprio quello del grooming reciproco: pulirsi a vicenda induce quel senso di rilassamento e protezione che si instaura fin dai primi minuti dopo la nascita del puledro, quando la madre rimuove con la lingua la placenta dal corpo del piccolo.
La mandria è un’unità, possiede un’intelligenza diffusa. Ogni cavallo rappresenta un organo di senso all’interno del gruppo.
Vista l’importanza del contatto fisico tra questi animali, è chiaro che la prima forma di avvicinamento tra uomo e cavallo avvenga attraverso la strigliatura o, in generale, attraverso un graduale adattamento alla presenza corporea di entrambi. Presso l’associazione EquiAzione del Vivaro, cavalcare è solo l’ultima fase di un percorso che inizia dalla creazione di fiducia e rispetto reciproco tra essere umano ed equino. Tale metodologia viene considerata “non convenzionale” rispetto a quella comunemente utilizzata nei maneggi, dove oltretutto ai cavalli non è permesso stare in branco.
Per un essere umano è impossibile immedesimarsi nelle sensazioni dei cavalli: nella visione binoculare, nel tatto sensibilissimo, nell’olfatto, nel gusto, nell’udito, nella capacità di percepire attraverso gli zoccoli le onde vibratorie che si propagano nel terreno e che preannunciano l’arrivo di un potenziale nemico. Ma il contatto graduale e continuativo tra umani e animali (cavalli nel caso specifico) può ridimensionare il ruolo e l’importanza che l’uomo dà a se stesso, anche e soprattutto nelle relazioni che instaura con il prossimo, che sia animale-umano, animale-non umano e, perché no, anche vegetale. Siamo abituati a immaginare cavalli ferrati, con un morso di metallo in bocca, con finimenti e bardature, con la criniera intrecciata. Il modello archetipico del cavallerizzo ha gli speroni ai piedi. E se ci fosse un modo diverso? Se queste imposizioni esistessero più per una necessità di controllo sulle paure umane che di “educazione” del cavallo?
Grazie alla collaborazione con realtà come quella di EquiAzione, stiamo cercando di creare delle sinergie capaci di svelare nuove, e più sostenibili, forme di convivenza tra ambiente naturale e suoi abitanti, esseri umani compresi. L’esperienza diretta è il primo e principale modo attraverso il quale possa avvenire un cambiamento, in cui ci auguriamo che il neonato Cammino della Transumanza possa essere uno dei tasselli.
Articolo di: Giusi Bollati & Vittorio Di Cecio
Foto di: Matteo Gaudiello
Parco Regionale dei Castelli Romani (sede Vivaro)
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